Google Ads è hosting provider attivo. Il Consiglio di Stato si esprime in merito.
Le piattaforme digitali rappresentano spazi virtuali dove gli inserzionisti possono caricare contenuti con scopi economici e altri obiettivi. Queste piattaforme sono gestite dai fornitori di hosting, che offrono a professionisti, aziende e privati l’infrastruttura necessaria per rendere i loro siti e pagine web accessibili online. In qualità di proprietari delle piattaforme digitali, gli hosting provider possono essere ritenuti responsabili nel caso in cui i contenuti pubblicati sulle loro reti infrangono norme legali destinate a proteggere interessi collettivi.
In merito alla responsabilità dei fornitori di servizi di hosting, è opportuno richiamare quanto stabilito dall’articolo 14, comma 1 della direttiva sul commercio elettronico che prevede un’esenzione da responsabilità per i fornitori che non sono a conoscenza di attività illecite condotte attraverso i loro servizi, a condizione che agiscano prontamente per rimuovere tali contenuti non appena ne vengano a conoscenza. La giurisprudenza europea e nazionale attribuisce questa esenzione esclusivamente agli hosting provider passivi, ossia a quegli operatori che operano in modo esclusivamente automatico e che, pertanto, non possono avere consapevolezza della potenziale illiceità dei contenuti caricati. In contrasto, l’hosting provider attivo è colui che realizza operazioni di filtro e selezione dei contenuti attraverso una gestione imprenditoriale. Recentemente, il Consiglio di Stato ha affrontato il tema della responsabilità degli hosting provider stabilendo, con la sentenza 4277/2024, la conferma di una sanzione inflitta da AGCOM a Google Ireland Limited.
L’azienda in questione è stata soggetta a una sanzione amministrativa per aver violato il divieto stabilito dall’articolo 9 del Decreto Legge 87/2018, che proibisce qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, riguardante giochi o scommesse con vincite monetarie, tramite qualsiasi mezzo, comprese manifestazioni sportive, culturali o artistiche, trasmissioni media, stampa e internet. A partire dal 1° gennaio 2019, il divieto si estende anche alle sponsorizzazioni di eventi, attività e altre comunicazioni promozionali, incluse le menzioni visive e acustiche. In questo caso, AGCOM, nel suo compito di monitoraggio del rispetto di tali divieti, ha notato che cercando “casino online” su Google, il sito http://sublime-casino.com appariva come “annuncio”, presentando un invito a unirsi a un nuovo casinò online con oltre 400 giochi. Google Ireland ha difeso la propria posizione richiamando l’articolo 16 del Decreto Legislativo 70/2003, sostenendo che non poteva essere ritenuto responsabile per la sua funzione puramente strumentale e per l’impossibilità di controllare il contenuto di tutte le inserzioni. Tuttavia, il Consiglio di Stato ha respinto questa interpretazione, evidenziando che Google operava tramite il servizio “Google Ads”, che consente la pubblicazione di link sponsorizzati associati a specifiche parole chiave scelte dall’inserzionista, e non attraverso il tradizionale motore di ricerca.
In questo contesto, l’azienda ha assunto un ruolo proattivo nella promozione di contenuti specifici che risultano proibiti, perdendo così la propria neutralità in quanto aveva un interesse economico diretto nel successo della campagna pubblicitaria, poiché i compensi degli inserzionisti sono legati al numero di visualizzazioni dei messaggi. Inoltre, è importante notare che la Direttiva 2000/31/CE esclude esplicitamente, all’articolo 1, comma 5, le attività legate al gioco d’azzardo con scommesse in denaro, comprese lotterie e scommesse, vietando non solo tali pratiche ma anche la loro pubblicità. Il d.lgs. 70/2003 ha confermato la non estensione delle normative di favore a queste attività. Con l’esclusione della disciplina nazionale di favore, il Collegio ha esaminato se fossero presenti gli elementi indicativi della condotta vietata dall’articolo 9 D.L. 87/2018 e, non avendo dubbi sulla tipicità della condotta, ha ritenuto necessario accertare la presenza dell’elemento soggettivo. Si deve precisare che, nel caso in cui la condotta illecita riguardi una persona giuridica, l’elemento soggettivo si configura più come una questione normativa che psicologica, portando il giudice a concentrarsi sull’esigibilità della condotta lecita. Nel caso specifico, il Consiglio di Stato ha stabilito che l’azienda poteva e doveva verificare la natura dei contenuti distribuiti online, dato il suo ruolo attivo nel posizionamento di contenuti qualificati come “annunci”. Contrariamente alla giurisprudenza recente, il Consiglio di Stato ha indicato che grandi aziende come Google sono obbligate a implementare sistemi di controllo interno per evitare violazioni delle normative nazionali che proteggono interessi pubblici, affermando che i grandi attori del settore digitale non possono essere esenti da responsabilità civile o amministrativa solo per la loro portata globale; anzi, vista la loro dimensione, devono attivarsi per attuare meccanismi di prevenzione, anche avvalendosi di sistemi di intelligenza artificiale.